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venerdì 8 ottobre 2010

Fleet Foxes

Album: Fleet foxes
Anno: 2008
Band

- Robin Pecknold, chitarra acustica e voce
- Skyler Skjelset, chitarra elettrica solista e cori
- Nicholas Peterson, chitarra elettrica ritmica e cori
- Casey Wescott, tastiera e cori
- Craig Curran,batteria
Track list:

  1.Sun It Rises
  2.White Winter Hymnal
  3.Ragged Wood
  4.Tiger Mountain Peasant Song
  5.Quiet Houses Quiet Houses
  6.He Doesn't Know Why
  7.Heard Them Stirring
  8.Your Protector
  9. Meadowlarks
  10.Blue Ridge Mountains
  11.Oliver James


I toni esaltanti e le melodie festose e cerimoniali di Mykonos, il pezzo di chiusura dell’EP di esordio dei Fleet Foxes, avevano fatto intuire la qualità delle frecce del quintetto di Seattle, e la rapida uscita dell’omonimo album nel 2008 aveva placato le bocche insaziabili dei fan della prima ora, stregati in tal modo da  Sun Giant, da odiare quelle misere 5 tracce, quei 30 minuti appena di disco, buoni appena per entrare in temperatura.

Fleet Foxes  non ha deluso le attese,sturando le orecchie ai nuovi adepti rimasti sordi al primo rintocco.
 La voce di Robert Pecknold è plasmata armoniosamente su ben 11 pezzi, il tempo è quello giusto,intriso di armonie e liriche gioiose ed evocatrici.
Nel disco si alternano chitarre acustiche pizzicate appena, chitarre elettriche stridule al punto giusto, qualche comparsata di banjo,batteria dosata con cura,  tutto guarnito dalla voce squillante, pulita e mai forzata di Pecknold,supportata dai cori perfettamente sintonizzati del resto del gruppo.


Battezzati senza lucidità come i parenti poveri degli acclamati concittadini Band of Horses,e accostati più volte a sproposito a Devendra Banhart, i Fleet Foxes, a parte il look hippie e barbuto, poco hanno da spartire con i citati gruppi.
I cinque di Seattle non sono cresciuti in un bunker, immuni da influenze artistiche,
Eppure, i rimandi al folk westcoastiano, ai vari Paul Simon, Neil Young, e ai cori alla Motown e Beach Boys, sono appena accennati,  l’abilità nel mescolare armonie vocali su piani diversi, la sapiente gestione degli strumenti, danno vita a un sound,innovativo, corale, maestoso e barocco, eppure mai ridondante
“Baroque harmony music from fantasy movies” questo è a loro dire quello che suonano.
L’impressione  di sentire qualcosa di già ascoltato c’è, tuttavia la ricerca del motivetto che ci sta per venire in mente è destinata a infrangersi sulle folgoranti melodie del disco, la somiglianza è vana e inutile,è una sensazione, e in ogni caso,  quello che stiamo ascoltando è una versione migliore dell’originale.

La musica è fortemente evocativa, non è adatta a scandire i frenetici ritmi metropolitani,tant’è che i cinque non sembrano provenire dalla tormentata e drammatica Seattle, appartengono a una natura senza tempo ne spazio, ai paesaggi di campagna dove verdi colline e fiumi e laghi limpidi sono intervallati da magnifici castelli e borghi diroccati. Il loro album non è specchio delle ansie e dei patemi quotidiani, è un inno gioioso e potente alla natura,con vena romantica (He doesn’t know why) ,riferimenti mitologici e evocazioni medievali,anche quando la melanconia e la nostalgia prendono il sopravvento(Meadowlarks, Tiger Mountain Peasant Song) sono addolcite da una riflessione mai pesante, che rincuora e genera speranza nuova per il futuro.


La voce pulita e potente di Pecknold guida l’ascoltatore tra le terre lussureggianti di un passato mitologico, si arrampica, senza fatica sui pendii rocciosi dei vecchi castelli medioevali.
sorvola il bianco etereo delle cattedrali e si fonde con i tiepidi tramonti della Grecia antica. Chi ascolta è rapito, stordito da tanta varietà di suoni, sorpreso dalle variazioni di tono e di ritmo, avvolto in una brezza estraniante che profuma di magia, mito, antiche civiltà, storiche e gloriose imprese.
 Ascoltare Fleet Foxes è come viaggiare a occhi chiusi sulle montagne russe, le melodie baroccheggianti giocano a rincorrersi, si avventurano, non vanno mai nella direzione che ci si aspetta, eppure non appaiono manipolate o controllate;
in maniera simile al flusso di pensieri joyciano, il lavoro oscuro, la tecnica, c’e ma l’ardente desiderio di esprimersi lo sopravanza generando un prodotto di puro istinto creativo.


Se volete evadere dalla quotidianità e sentire qualcosa di originale, è il disco giusto per voi,
 coinvolgente e mai eccessivamente pomposo, è un vero toccasana per lo stress urbano accumulato,per un ora, poco più, i Fleet Foxes vi faranno entrare nel loro mondo, dove i contorni del reale sbiadiscono insieme ad ansie e domande ,la mente si lascia trasportare da suoni soavi e il tempo(anche quello del disco)non ha più senso.



Giulio Serafino.

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